Awalim, ghaziya, belly-dancer... qualsiasi appellativo vogliate darle, la danzatrice è prima di tutto una donna. La conflittualità che nasce dal doversi misurare con una società prevalentemente machista ci induce a mettere in ombra la nostra essenza, erroneamente intesa quale sinonimo di fragilità. Ma lo scrigno dell'interiorità femminile è tutt'altro che fragile, e per prenderne coscienza è necessario riscoprire noi stesse e le nostre potenzialità.
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La bellezza delle movenze non nasce solo da una tecnica impeccabile, bensì dall'ardore che la danzatrice sprigiona durante il ballo in modo del tutto personale, sussurrando il suo mondo interiore con gioia o malinconia, dalla sensualità alla tenerezza, fino all'allegria. Come ricordo spesso alle mie allieve è più coinvolgente un passo eseguito con passione, anche se relativamente impreciso, piuttosto che un movimento perfetto ma freddo, privo di emozione.
La pratica costante della danza orientale rimuove il velo adagiato sul nostro essere insegnandoci ad ascoltare, ad aprire il cuore alle sensazioni, così che, trasportate dalla musica, saremo in grado di liberare con gioia quell'intuitività prettamente femminile. Ma questo potenziale non resta confinato al ballo in sé. Silenziosamente, senza che ce ne accorgiamo, esso si spande come un lago nella nostra sfera di vita rendendoci coscienti delle nostre capacità e della ricchezza che custodiamo in noi stesse, tenendo ben presenti i nostri confini. Solo così potremo manifestare il nostro sé, con la consapevolezza di ciò che siamo e che siamo in grado di fare, spogliandoci dei timori, dei luoghi comuni e dei ruoli imposti.
Bella davvero questa descrizione della danza orientale!
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